Ha 50 anni ma lo chiamano ragazzo. E’ la prassi in questi luoghi della non-cura dove il tempo sembra essere sospeso in virtù del suo continuo ripetersi noioso e identico. Giorno dopo giorno settimana dopo settimana mese dopo mese. Anno dopo anno. Letteralmente. Abitudine dopo abitudine.
Gli piace Gaber. Quando mi vede canta: “E per fortuna che c’è MissBlum!” Lo fa con tutti, cambiando opportunamente il nome. Mi strappa sempre un sorriso.
Suo padre è morto da poco tempo. Settimane? Mesi? Non importa, qui. Lo ha trovato lui. Morto. Chissà che cosa si sono detti, lui e il cadavere. Dov’è mio padre? – Non lo so, secondo te dov’è? Sono davvero in difficoltà, nel mare melmoso della mia impreparatezza. Non so che cosa dire. Improvviso (male). Ci pensa lui. In cielo? – In cielo, sì, dicono così. Che le persone poi vanno in cielo. – No, secondo me non è in cielo. – Ah, ok, no. E secondo te dov’è? – E’ a Staglieno è. Io ce lo vado pure a trovare, a Staglieno. Gli faccio visita una volta alla settimana. – Eh, certo. ovvio. A Staglieno, hai ragione. Dove se no?.
Evidenze
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Forse questo è uno dei casi in cui sarebbe necessario usare comportamenti o parole opportune, non so.
Sono convinto però che molte volte è meglio buttare fuori spontaneità, a dispetto della nostra convinzione.
Probabilmente io avrei solo annuito con silenzio e sorriso.
Ma temo anche mi sarebbe venuto da dirgli : “La risposta è dentro di te. Epperò, stavolta, è giusta.”